Inchiesta petrolio in Basilicata: un arresto, tredici indagati

Pozzo Viggiano

Un dirigente dell’Eni, all’epoca dei fatti responsabile del centro oli di Viggiano, è finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta su una fuoriuscita di petrolio che nel febbraio 2017 contaminò il “reticolo idrografico» della Val d’Agri. L’arresto è stato deciso dal gip di Potenza su richiesta della Procura. Nell’inchiesta sono indagate 13 persone tra le quali anche componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata e l’Eni.

I particolari delle indagini sono stati illustrati a Potenza nel corso di una conferenza stampa.

L’inchiesta è stata condotta dai pm Laura Triassi e Veronica Calcagno, e dai Carabineri del Noe. Alla scoperta della fuoriuscita di greggio, ritrovato in un sistema fognario nei pressi del Cova, l’Eni realizzò un doppio fondo nel serbatoio, dichiarando la perdita di circa 400 tonnellate di petrolio ma, secondo il Procuratore di Potenza, Francesco Curcio, “riteniamo che i serbatoi danneggiati fossero quattro, con perdite dal 2009, quindi molto superiori a quelle stimate”.
Perdite che, per i pm, avrebbero portato a “una grave compromissione delle matrici ambientali, in particolare per l’acqua; se non si fosse casualmente scoperta la perdita grazie a un sistema fognario malfunzionante – ha aggiunto Curcio – la velocità di corrosione e della fuoriuscita avrebbero portato a conseguenze molto più gravi, ma per fortuna scongiurate, data la vicinanza della Diga del Pertusillo”.
Sono indagati anche i componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata (che chiesero all’Eni maggiori controlli, senza però alcun esito dopo la richiesta) e la stessa compagnia petrolifera, “poiché i dirigenti – ha concluso il Procuratore – erano a conoscenza di questi eventi”.

La Procura ipotizza a carico degli indagati i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale.

All’inizio del 2017, dopo il ritrovamento di petrolio in un depuratore, si arrivò al sequestro di un pozzetto. Si accertò che il petrolio era passato nella rete fognaria e poi nella rete idrografica circostante, a due chilometri dalla diga del Pertusillo, che fornisce acqua alla Puglia e, per l’irrigazione, ad oltre 35 mila ettari di terreno. Il petrolio era fuoriuscito dai serbatoi di stoccaggio, ma le perdite non erano “mai state comunicate agli organismi competenti”. Successivamente, l’Eni decise di dotare i serbatoi di doppifondi. Secondo la Procura di Potenza, l’Eni tenne un atteggiamento di “sostanziale inerzia” nella vicenda delle perdite di petrolio, mentre quella del comitato tecnico regionale fu una “consapevole inerzia” perché prima prescrisse maggiori controlli ma poi non sanzionò la loro mancata attuazione.

La fuoriuscita di petrolio contaminò 26 mila metri quadrati di suolo e sottosuolo a Viggiano.
 Secondo quanto scritto dal Gip di Potenza Ida Iura nell’ordinanza che ha portato agli arresti domiciliari per l’ex responsabile del Distretto meridionale dell’Eni, per il centro oli di Viggiano “è esistita una precisa strategia, attuata a livello locale, ma certamente condivisa dai vertici di Milano,  per nascondere i gravi problemi e le conseguenze che la corrosione aveva provocato, con condotte caratterizzate da una sconcertante malafede e spregiudicatezza”.

 

“Massima collaborazione con gli organi inquirenti e fiducia nell’operato della magistratura” ha annunciato l’Eni . “La società – si legge in una nota – prende atto dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria nell’ambito dell’indagine sullo sversamento da un serbatoio del Centro Olio di Viggiano condotta dalla Procura di Potenza e che coinvolge alcuni dipendenti Eni. Eni ritiene di essere intervenuta tempestivamente e di aver posto in essere tutti i migliori interventi di Messa in Sicurezza di Emergenza con l’obiettivo di contenere, perimetrare e rimuovere la contaminazione”.

Sulla vicenda è intervenuto, con una nota, anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

“L’ambiente è di tutti e non faremo sconti a nessuno – dichiara Costa – Oggi è una giornata importante per la regione Basilicata e per la nostra attività di tutela dell’ambiente. Ancora una volta dimostriamo con i fatti che chi inquina non può restare e non resterà impunito. I miei complimenti ai carabinieri del Noe e alla Procura della Repubblica di Potenza per le indagini che hanno portato all’accertamento dei responsabili della fuoriuscita di petrolio che, nel febbraio 2017, contaminò gravemente il reticolo idrografico della Val D’Agri. Questo è solo l’inizio di un’offensiva mirata contro chi inquina la Basilicata, e più in generale il nostro territorio. L’ambiente è di tutti – ha concluso Costa – e non faremo sconti a nessuno”.
Il procedimento penale, spiega il Ministero nella nota, riguarda non solo alcuni dirigenti della compagnia petrolifera, ma anche pubblici ufficiali facenti parte del CTR (Comitato Tecnico Regionale) della Basilicata, il cui compito era quello di controllare, sotto il profilo della sicurezza e dei rischi ambientali, l’attività estrattiva dell’Eni. In particolare sono indagate tredici persone fisiche ed una persona giuridica, l’Eni, per i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale.
L’opera di bonifica dell’area contaminata, tuttora in corso, spiega ancora il Ministero, ha imposto di estrarre in modo continuo tutte le acque di falda dell’area e trattarle come rifiuto. Un’attività necessaria per impedire il diffondersi della contaminazione, che però ha portato a privare delle indispensabili risorse idriche una vasta area della Regione, con inevitabile gravi conseguenze sulla matrice ambientale.

Fonte Ansa

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